Ritorno al passato ma con le voci d’oggi. Il teatro Massimo Bellini compie un’operazione ‘storica’ riproponendo un allestimento blasonato, ma nato oltre sessant’anni, de ‘La fille du régiment’di Gaetano Donizetti che è anche un ulteriore omaggio all’immarcescibile opera di Franco Zeffirelli (con l’allestimento del Teatro Massimo di Palermo). Il regista Marco Gandini, che col Maestro lavorò lungamente (ed ancora oggi ne rappresenta la memoria storica) si è trovato così a svolgere un recupero che dimostra ancora una volta quanto sia gradito, da parte di un’ampia fetta di appassionati, il melodramma ‘all’antica’, in netta antitesi alle modernità della regia d’oggi. L’eleganza baroccheggiante del secondo atto, lo stile un po’ naif delle montagne tirolesi del primo atto rappresentano un singolare omaggio al tempo che fu. Non secondaria poi la riproposizione dei costumi, meticolosamente ripresi da Anna Biagiotti; e il pubblico ha mostrato di gradire.
Ma c’è un altro elemento che diventa predominante nell’attuale ripresa, ancora una volta un ‘ritorno’, la centralità delle voci come traino della rappresentazione. Un tempo ciò che richiamava gli appassionati erano le voci in cartellone; era l’epoca del divismo, delle Callas, delle Tebaldi, dei Del Monaco, dei Di Stefano. Si andava in teatro richiamati dalla loro presenza e la regia veniva posta (a torto o a ragione) in secondo piano mentre i direttori d’orchestra facevano il loro lavoro, pur determinante, avendo sempre presente di essere al ‘servizio’ non solo della musica ma, soprattutto, dei protagonisti vocali. Oggi le parti sono completamente rovesciate: prima vengono i registi, poi i direttori d’orchestra, poi tutti gli altri. I tempi sono questi e ci sarà pure una ragione, legata al mutamento di gusto e ad una sensibilità profondamente mutata. Probabilmente il giusto sarebbe a metà strada, ma tant’è.
Rappresentata per la prima volta nel 1840 a Parigi, al Théâtre de l’Opéra-comique, la Fille è stata eseguita in lingua originale, il francese, comprese le parti in parlato tipiche di questo genere. E’ nota, in particolare, per una celebre aria, “Ah, mes amis”, chiusa dalla cabaletta “Pour mon âme”, contenente ben nove do acuti, originariamente eseguiti in falsetto ma che oggi richiedono la voce piena, ‘di petto’, sottoponendo il tenore di turno ad un tour de force non indifferente; è noto, ad esempio, come abbia costituito un trampolino di lancio per il giovane Luciano Pavarotti. Non è quindi un caso se in teatro siano accorsi tanti appassionati proprio richiamati dalla presenza di un celebre tenore americano, John Osborn, il quale nei panni di Tonio non ha deluso i suoi fan eseguendo con squillo sicuro sia l’aria sia la cabaletta, introducendo addirittura alcune puntature nella ripresa della seconda parte e concedendo poi, a furor di popolo, anche il bis. È stato un tripudio di applausi, a dimostrazione del fatto che ancora oggi la presenza di una voce celebre può costituire un sicuro richiamo per i frequentatori della lirica. D’altra parte Osborn aveva al suo fianco anche una splendida Marie (la vivandiera, figlia del reggimento), il soprano palermitano Jessica Nuccio che, al suo esordio nel ruolo (se non andiamo errati) ha offerto una prova disinvolta, piena della giusta verve, sia in punto vocale sia in punto scenico raggiungendo il suo apice vocale nell’aria del finale I “Il faut partir!” ricca di sfumature e legati mentre non perdeva occasione di sfoderare all’occorrenza acuti sicuri e luminosi.
Luca Galli era un magnifico sergente Sulpice, padre adottivo di Marie, dalla voce ben timbrata e la simpatica presenza scena. Meno incisiva, vocalmente, la Marchesa di Berkenfield di Madelyn Renée, riscattata comunque dalla padronanza scenica; Francesco Palmieri era un misurato Hortensíus mentre la parte ai limiti del buffo della duchessa di Krakenthorp era affidata alla caratterizzazione en travestì di Ernesto Tomasini.
Nulla da eccepire sul piano strumentale, chè l’orchestra etnea era affidata alle navigate cure direttoriali di Giuliano Carella mentre anche il coro, istruito da Luigi Petrozziello, faceva la sua parte con impeto e lungimiranza esemplari.
Per il pubblico una gioiosa serata di festa.