Una campagna elettorale davvero surreale, in stile pirandelliano, in cui i cosiddetti “leader politici” sembrano usciti da “Uno nessuno centomila”, per i quali, come nel romanzo del grande scrittore siciliano:“C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.”
E in questa surreale campagna elettorale, non vi è traccia nella cosiddetta “grande stampa nazionale” del tema del Mezzogiorno, vero desaparecido dall’agenda politica dei partiti. In realtà, non è una novità. Da almeno vent’anni il Mezzogiorno come priorità è scomparso nei programmi della politica nazionale, ma già negli anni ’90 del ‘900 il riferimento al Meridione d’Italia era diventato uno stanco rituale, una sorta di slogan ripetuto meccanicamente come in un disco rotto: “sviluppo, occupazione, Mezzogiorno”, sussurrato dai sindacati “storici” e da tutti partiti della Seconda Repubblica.
Il tema del Mezzogiorno una volta era il cuore del dibattito soprattutto a sinistra, ma anche da parte della Democrazia Cristiana erede di don Sturzo, e che in termini di grande “questione nazionale” si sviluppa dalle battaglie di Gaetano Salvemini, sin dal Congresso del PSI nel 1911, non in termini assistenziali, ma come problema unitario dell’Italia, terreno fondamentale su cui imperniare il riformismo socialista del tempo e su cui costruire uno sviluppo equilibrato per il paese
Ma nella Seconda Repubblica il tema è stato via via accantonato; da parte di alcuni si disse che era datato, che il tempo dei “cahiers des doleances” era finito e che bisognava concentrarsi sui problemi e le speranze nazionali legate all’Europa della moneta unica e del rigore economico. E in questi anni il divario tra Nord e Sud del Paese è cresciuto sia in termini di reddito che di servizi sociali e sanitari, con l’aumento esponenziale del drammatico fenomeno della “fuga dei cervelli”: due giovani su tre sono andati via dal nostro Mezzogiorno per ragioni di lavoro e di studio, provocando non solo spoliazione culturale ma anche il calo del tasso demografico, con aree abbandonate e borghi fantasma.
Una condizione socio-economica destinata a peggiorare, per effetto della fiammata inflazionistica, che ha già colpito i prodotti di prima necessità e quelli energetici, penalizzando i ceti più deboli e i territori più fragili.
Ciò che sta facendo la politica nazionale per il Mezzogiorno è solo un giro delle piazze del Sud, a urlare promesse insostenibili in piccoli raduni, per raccogliere voti, con una campagna elettorale senza idee, proposte, progetti e, soprattutto, ideali. Nessuno a rivendicare la ripartizione prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza delle risorse del 60 e del 40 per cento tra Nord e Sud e nemmeno la presa di distanza dalla sciagurata ipotesi dell’autonomia differenziata tra regioni. Per non parlare della campagna elettorale per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana, in cui è stato cancellato il tema del rilancio dell’Autonomia speciale in chiave di modernizzazione istituzionale e di aggancio con l’Europa.
Servirebbe l’unità del Sud - dopo queste elezioni che produrranno con molta probabilità nuova instabilità politica - con un’alleanza di tipo civico dei territori meridionali contro gli ascarismi, oggi ancora più forti grazie ad una legge elettorale, il “rosatellum”, che attribuisce alle segreterie nazionali delle forze politiche la decisione su liste e candidati, con il fenomeno degenerativo del costume democratico dei “paracadutati” ovvero dei transfughi da garantire e dei famigli, che sin d’ora consente di individuare, purtroppo, il vero vincitore delle prossime elezioni: l’astensionismo.