Gianfranco Miccichè evidentemente non conosce bene i proverbi siciliani. Uno dei più saggi recita così:” Cu lassa a vecchia pa’ nova sapi chiddu ca lassa, ma non sapi chiddu ca trova”. Non credo ci sia bisogna di tradurre, ma comunque ecco: “chi lascia il vecchio per il nuovo sa cosa lascia ma non sa cosa trova”. Ed in effetti è proprio quello che è successo all’ex presidente dell’Ars. Lui stesso, dopo l’elezione di Galvagno (i due nella foto) a presidente dell’Assemblea, aveva avuto modo di dire che “tanto mi ero speso per non far ricandidare Musumeci e adesso con Schifani la situazione è anche peggiorata”. Un’elezione alla quale Miccichè e i suoi fedelissimi (davvero pochi ormai si contano sulle dita di una mano e sto esagerando) non ha partecipato sperando che la maggioranza andasse sotto. Cosa che non è successa grazie ad aiutini di altre forze politiche. Tutti negano ovviamente, ma i numeri sono numeri. Galvagno avrebbe avuto bisogno di 40 voti per essere eletto. I fedeli di Miccichè non lo hanno votato, ma Galvagno ha avuto 43 voti. Non occorre un pallottoliere. Miccichè, in pratica, ha tentato la stessa sortita di Forza Italia nell’elezione dell’elezione del Presidente del Senato Ignazio La Russa. Volevano dare un segnale forte al governo Meloni ed hanno fatto una figura barbina. Evidentemente la lezione, a Miccichè non è bastata. Ci ha riprovato e ancora una volta ha fatto una figura ridicola, comunque non degna di un leader quale si crede ancora di essere. E quindi Miccichè che voleva essere rieletto presidente dell’Ars e gestire tutti i suoi privilegi ha dovuto rinunciare. Voleva in alternativa gestire, lui o un suo uomo (o donna) l’assessorato alla Salute (il più ricco) e invece niente. Avrebbe voluto fare l’assessore alla Cultura e continuare a gestire in assoluto monopolio palermitano, campo riservato ai suoi fedelissimi, tutti gli eventi culturali dell’isola e anche in questo caso non è stato accontentato. Ed ecco spiegata la sua rabbia e il suo livore. Non fatevi ingannare, non ci sono divergenze sul programma di governo. Niente di tutto questo, che sarebbe anche nobile, sarebbe politico. E invece solo poltrone e potere. Deve solo rinunciare a tutti i suoi privilegi goduti negli ultimi cinque anni. Musumeci glielo aveva predetto quando era presidente: basta privilegi. E da li la guerra che il leader (ex) di Forza Italia, aveva fatto all’ex presidente obbligando la coalizione di centrodestra a trovare una soluzione alternativa: Schifani, che proprio amico di Miccichè non lo è mai stato. Le prossime mosse? Le vedremo. Ci ha fatto sapere, bontà sua, che resta deputato regionale, rinunciando al Senato dove si aspettava almeno un posto da sottosegretario. Ma Giorgia Meloni lo ha detto chiaramente: “questo signore nel governo non lo voglio”. O forse Miccichè pensava che il boicottaggio a Musumeci era stato dimenticato? Ha anche fatto sapere che deciderà di volta in volta quali provvedimenti del governo siciliano votare. Ma davvero crede che ci sia qualcuno, anche dei suoi fedelissimi, disposto a far cadere il governo e andare a casa? E sì, perché funziona così: se cade il Governo si vota di nuovo non si cambia Presidente. E così, in conclusione, torniamo a un nuovo proverbio, questa volta non siciliano: “chi tutto vuole alla fine nulla stringe”. O qualcosa del genere.