Con un concerto di musiche composte da musicisti siciliani (più un modenese) in onore di Vincenzo Bellini, si è concluso anche quest’anno il BIC (Bellini International Context), giunto alla terza edizione. Sei composizioni per grande orchestra eseguite dal complesso del Teatro Massimo Bellini di Catania diretto da Elisabetta Maschio.
Cala così il sipario su una manifestazione che ha ridato continuità alle celebrazioni belliniane per iniziativa della Regione Siciliana, che ne ha assunto la paternità, affidando il ruolo di ‘capofila’ al Teatro etneo ma con la fattiva collaborazione di un vasto parterre tra cui emergono il Teatro Massimo di Palermo, il Teatro di Messina, l’Università di Catania, i Conservatori di Catania e Messina, l’Orchestra Sinfonica Siciliana, l’Arcidiocesi di Catania e i tre Comuni di Palermo, Catania e Messina.
Una continuità, quella del Bellini Context, che in molti casi si è risolta in riproposizione dello stesso spettacolo presentato l’anno precedente, come peraltro è avvenuto anche con il concerto-omaggio dei compositori siciliani, le cui composizioni erano state proposte lo scorso anno (distribuite in due concerti) e, in ultima analisi, ci hanno consentito di riascoltare brani nuovi cui sicuramente giova un ‘rinforzo’ di ascolto per una salutare acquisizione e un più obiettivo giudizio.
Il brano d’esordio è stato “Così lontano, così vicino” del modenese Mario Garuti, attualmente insegnante presso il Conservatorio di Milano; il sottotitolo recita ‘Fantasia per orchestra sull’aria Dolente immagine di Fille mia’ e, proprio partendo dall’aria da camera belliniana, l’autore compie un breve itinerario in due parti tutto svolto sul filo della ‘irriverenza’ che si risolve su una tavolozza nella quale confluiscono le più varie esperienze stilistiche novecentesche.
Il catanese Matteo Musumeci, ben noto al pubblico del Bellini, ripropone con il suo “Argentum vivum op.109” le caratteristiche di una fluente melodicità ‘accesa’ dalla luminosità argentea della luna (chiaro riferimento alla sacerdotessa druidica) creando una sorta di colonna sonora in onore del Cigno etneo.
Evocative, lussureggianti nel loro spessore sinfonico, le “Nove percezioni di Joe Schittino evocano misteriosi suoni evocativi e timbriche impressioniste legate in modo enigmatico alle melodie belliniane; significativo come il titolo dell’opera corrisponda all’anagramma di ‘Joe per Vincenzo’ come a voler confondere la scrittura di Bellini tra le pieghe di un modernismo che lo astragga fuori da ogni tempo.
Il surrealismo impera vigoroso in un continuo confronto con gli stili novecenteschi in “The Swan…the surreal” di Elio Lo Presti. Il mondo di Ives, Bartok, Himdemith sembra servire da incunabolo fino all’apparire, in brevi e chiarificatori frammenti dall’ampio respiro, del Bellini di Sonnambula e Puritani.
“Il giardino dei cigni” di Luciano Maria Serra è tutto un’evocazione del mondo belliniano, passeggiando nel suo giardino. Melodie lunghe e distese ricordano gli incipit belliniani per chiudere con un’enfasi dallo spessore cinematografico sulle note dell’immortale Casta Diva.
Con “Bellini Reloaded. Reperti d’archeologia futuribile” Giovanni Ferrauto immagina un futuro desolato e privo di valori che rinasce a nuova vita grazie al ritrovamento delle note di Norma, le quali riescono a squarciare il freddo ipertecnologismo (da echi elettronici e frenetiche percussioni vagamente stravinskiane) fino all’esplosione passionale e veemente del “guerra, guerra”.
Un omaggio, quello dei Nostri compositori, che esalta, commuove e rende sempre attuale l’immortalità della musica di Vincenzo Bellini! A rivederci (e sentirci) il prossimo anno.