Il teatro Stabile di Catania ha chiuso la sua stagione ‘invernale’ con la ripresa di uno storico allestimento de ‘L’altalena’ di Nino Martoglio, per la regia di Giuseppe Romani che ebbe il suo battesimo, se non andiamo errati, nel 2006, quando era direttore artistico Orazio Torrisi, il quale la ripropose poi, nel 2011, al Brancati. In veste quasi immutata è stata adesso ripresa dal Verga come coproduzione tra il teatro Stabile e il Brancati – teatro della città. Ci permettiamo, quindi, di riprendere la recensione di allora precisando che solo alcune parti sono state mutate, fermo restante il ‘trio’ protagonistico Miko Magistro, Tuccio Musumeci e Guia Jelo. Nella presente edizione Emanuele Puglia, che nel 2011 interpretava la parte di ‘Gnaziu’, è subentrato a Massimo Leggio nel ruolo di Mariddu, mentre Agata Montagnino ha preso il ruolo della madre di Mariddu che fu della compianta Nellina Laganà; tra i restanti comprimari troviamo oggi Santo Pennisi e Santo Santonocito. Ecco dunque la recensione del 2011:
“Ci sono opere teatrali appartenenti al repertorio dialettale siciliano che costituiscono una assoluta costante nei cartelloni maggiori e minori della città etnea. Quando poi si fa riferimento a Nino Martoglio il rischio è l’inflazione e, conseguentemente l’eccesso di routine. E’ difficile poter quantificare il numero degli allestimenti di I Civitoti in pretura , L'aria del continente, Cappiddazzu paga tuttu, L'arte di Giufà, Voculanzicula (L'altalena), ecc… Eppure la risposta del pubblico è sempre ampia, il richiamo del ‘suo’ Martoglio irresistibile e spesso ci si accontenta di poco; è in questi casi che il teatro martogliano rischia di apparire svilito e ripiega verso il facile sollazzo. Al contrario, quando l’approccio è improntato a criteri di professionalità e serietà e può fare affidamento sul grande attore, ecco che Martoglio ci appare in tutta la sua ‘sostanza’ e il suo teatro può decisamente varcare i confini locali per approdare ben lontano dall’isola evidenziando tutta l’umanità, la capacità di scavo delle condizioni sociali, anche la modernità di approccio. A questo punto la mente non può che andare alle grandi figure attoriali che ne hanno sancito il successo, ovunque fosse presentato il suo teatro: Giovanni Grasso, Angelo Musco, Turi Ferro.
Il limite di queste interpretazioni ‘storiche’, semmai, risiedeva nel concentrare i riflettori sul capocomico procedendo con qualche approssimazione relativamente al ‘contorno’ di personaggi o all’eccessiva libertà da pastoie registiche. E veniamo all’oggi; raramente è stato dato assistere ad uno spettacolo così amalgamato e curato nella scelta di tutti i personaggi come quello presentato nei giorni scorsi al Teatro Brancati per la stagione 2010/11. Bisognerebbe, infatti, spendere parole positive per ogni singolo protagonista: tutti i personaggi sono stati caratterizzati in maniera specifica sottolineando e distinguendo sia gli aspetti di maggior umanità e, perché no, di liricità, sia i frequenti ed irresistibili momenti di ilarità che, inevitabilmente sfociano nella caricatura, nel puro divertimento, nella gestualità istrionica, nell’uso della ‘parlata’ tipicamente martogliana, geniale mistura di dialetto catanese e di contaminazione italo-siceliota che è la vera novità dei testi di Martoglio.
Miko Magistro è stato un irresistibile Ninu, ‘giovane’ di bottega del barbiere Neli (un misuratissimo Filippo Brazzaventre, pieno di umanità), onnipresente ‘collante’ per tutte le scene divertenti, sapiente nella gestualità e nell’invenzione linguistica martogliana, supportato da un parco Tuccio Musumeci, maestro dei tempi e delle pause, esilarante nei suoi travestimenti carnascialeschi (nei panni di centurione romano era una macchietta sapidissima). Massimo Leggio era Mariddu, il fratellastro ‘guappo’ e sciupa femmine di Neli (che in verità si rivelerà essere figlio dello zio prete), il quale pensa che la giovane Ajtina sia ‘cosa sua’ da poter prendere e lasciare a piacimento; un’Ajtina interpretata con trepidazione e determinazione da Luana Toscano. Ma anche i personaggi ‘secondari’ erano puntualmente tratteggiati, da Nellina Laganà, madre traffichina di Mariddu, da Emanuele Puglia, baldanzoso ma raffinato ‘Gnaziu, da Santo Pennisi, avventore in bottega nel sacco di Sant’Agata (della cui festa si sentono gli echi e i botti), e ancora da Carmela Buffa Caleo nei panni di un’improbabile aspirante cantante, Franco Sardo (moglie di Ninu) e Nicoletta Seminara. Guia Jelo, infine, appare solo al terzo atto ma ruba la scena con la straripante caratterizzazione della Zà Sara, rappresentazione di popolana della Civita con una naturale propensione alla ‘mavaria’; una vera forza della natura.
La regia di Giuseppe Romani badava ad evitare gli eccessi (sempre in agguato in questo tipo di teatro). Appropriati i costumi e le scene di Giuseppe Andolfo; Carmen Failla si è bene inserita con musiche ricche di verve. Uno spettacolo ben confezionato, sano, divertente ma non banale.”
Una breve considerazione di ‘aggiornamento’. Dopo quasi vent’anni di ‘onorato servizio’ l’allestimento comincia inevitabilmente a mostrare i segni del tempo, soprattutto riguardo una attuale, diversa sensibilità che richiederebbe minori indugi e lungaggini (evidenti soprattutto nel terzo atto), ciò senza nulla togliere alla bravura dei nostri attori, sempre amati, ritrovati tutti insieme nel ‘loro’ e ‘nostro’ teatro Stabile e bene accolti dal pubblico etneo.