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Il Don Giovanni del Bellini è senza alte vette

2025-03-09 15:19

Aldo Mattina

Cronaca, Spettacoli, Attualità, Focus,

Il Don Giovanni del Bellini è senza alte vette

Particolare la visione del regista Davide Garattini Raimondi. La strana presenza ddell'auto anni Trenta nell'overture. E la direzione della Venezi non coinvolge

 

     C’era grande attesa per il ritorno del Don Giovanni di Mozart – Da Ponte a Catania quale secondo titolo del cartellone della lirica 2025. Proveniente da un allestimento del 2010 del Tbilisi and Ballet State Theatre e del Teatro de la Maestranza di Siviglia, si fregiava infatti delle storiche scene di Ezio Frigerio e dei costumi della moglie, premio Oscar, Franca Squarciapino (che ad inizio di serata è stata premiata dal sovrintendente Cultrera e dal Sindaco Trantino con il premio “Teatro Massimo Bellini”). La curiosità risiedeva, semmai, nel vedere come sarebbe stato riproposto dal regista Davide Garattini Raimondi, mentre sul podio la concertazione musicale era diretta da Beatrice Venezi.

      Cerchiamo, pur in affanno, di capire cosa è successo. Chi si fosse aspettato di rivedere il mitico allestimento della Scala del 1987 si è trovato sicuramente spiazzato perché le ha trovate assai semplificate seppur belle con i loro magnifici colonnati; sul piano dei costumi, invece, le cose cambiavano vistosamente poiché si trovavano a dover assecondare l’innovativa visione registica di Garattini Raimondi. Già ad apertura di sipario (sull’ouverture) faceva bella mostra di se una monumentale auto stile anni trenta del Novecento, ed era questa l’epoca in cui si trova traslata l’opera, costumi compresi, ad eccezione dell’indistinto abito nobiliare del protagonista.  Poi, a dilagare, è il Garattini Raimondi pensiero: la vendetta è il suo mantra perché – come ci spiega nelle sue note di regia – “ è  l’unico linguaggio che il mondo conosce” e, ancora, “La regia moderna cesella un universo in cui il mito si fa cronaca e l’eterno conflitto tra desiderio e dannazione si consuma sotto il riflesso metallico [affidato alle pistole in mano ad ogni piè sospinto, e niente spade.] della violenza”. C’è da rimanere basiti; il ‘dissoluto’ non viene ‘punito’ dal cielo a causa della sua vita scellerata e priva di moralità, ma dalla vendetta privata dell’invisibile spirito del Commendatore per il tramite della figlia Anna e di un ‘commando’ di sgherri che lo uccide sparandogli; niente discesa agli Inferi quindi. Così tutto il pensiero di Mozart va a farsi benedire…

     Anche sul piano musicale le cose non procedevano nel migliore dei modi. La direzione della Venezi non riusciva a dare l’organicità necessaria ad un’orchestra che rimaneva come distaccata ed appesantita senza riuscire ad esprimere al meglio quei colori e quei ritmi che la raffinata partitura mozartiana suggerisce. A pagarne lo scotto era l’intero cast vocale che sembrava lasciato a sé stesso, sia sul piano musicale sia su quello scenico-registico. La conseguenza è stata quella che i pur validi artisti non hanno potuto esprimersi al meglio delle proprie possibilità. A partire dallo stesso protagonista Markus Werba, grande baritono e mirabile fraseggiatore dal quale ci si attendevano grandi cose che si è invece come limitato a rendere l’indispensabile; ottima la prova della palermitana Desirée Rancatore nei panni di Donna Anna, affrontata con buona grinta e credibile partecipazione emotiva; Christian Senn era un istrionico Leporello, mai sopra le righe; José Maria Lo Monaco, raffinato mezzosoprano belcantista non riusciva, però a mettere a fuoco il personaggio di Donna Elvira, tradizionalmente più adatto al registro sopranile; buona resa per il Don Ottavio del tenore Valerio Borgioni, con preziose messe di voce e ragguardevole fiato e volume, pur stilisticamente migliorabile. Masetto era un solido Alberto Petricca affiancato dalla promessa sposa Zerlina, il mezzosoprano Albane Carrère, dalle buone qualità vocali ma, invero, un po’ compassata. Il Commendatore era un composto e austero Andrea Comelli. Misurato Maestro al cembalo era Francesco Massimi. Il coro (istruito da Luigi Petrozziello) appariva un po’ in affanno sempre compresso in situazioni sceniche che lo vedevano piuttosto spaesato.

     Complessivamente un’edizione leggermente plumbea che non riusciva a raggiungere le alte vette che un capolavoro come Don Giovanni meriterebbe.