Opera singolare, ingegnosa, enigmatica, “Esercizi di stile” del poliedrico scrittore francese Raymond Queneau è un testo pubblicato nel 1947 (poi ampliato nel 1969 e nel 1973) che ha prodotto, nel tempo, una lunga serie di traduzioni, adattamenti e perfino trasposizioni teatrali e filmiche. Ultimo, in ordine di tempo, lo spettacolo teatrale proposto dallo Stabile di Catania, alla Sala Futura, lo scorso anno e riproposto, in fuori abbonamento, nella presente stagione 2024/25. La regista Emanuela Pistone ha utilizzato, naturalmente, la versione italiana di Umberto Eco ed è qualcosa di più di una semplice traduzione, una vera e propria rielaborazione che assume, nella geniale speculazione dello scrittore italiano del 1983, vera e propria autonomia.
La ‘trama’ degli Esercizi è costituita da un banalissimo raccontino di poche righe, il quale viene riproposto per novantanove volte, attraverso una serie di varianti stilistiche che utilizzano le più varie figure retoriche, ma anche variegati registri linguistici, lingue maccheroniche, giochi enigmistici con le parole, anagrammi, forme poetiche, teatrali, colloquiali e chi più ne ha più ne metta. Il tutto senza alterare il senso del ‘racconto’ e nell’ambito di una rigorosa struttura geometrico-matematica. Un curioso gioco linguistico di strepitosa innovazione e genialità, surreale, ironico, grottesco che spiazza decisamente il lettore.
Lo spunto di ispirazione degli “Esercizi di stile” ci porta assai indietro nel tempo, addirittura al 1512 quando Erasmo da Rotterdam inserì nel capitolo 33 (Libro primo) della sua opera in latino “De copia verborum ac rerum” due frasi, “tuae literae me magnopere delectarunt” (Le tue lettere mi hanno fatto molto piacere) e “semper dum vivam tui meminero” ("Ti ricorderò sempre finché vivrò"). Le due semplici frasi vengono poi rielaborate ottenendo 150 variazioni dalla prima e 200 dalla seconda.
Drammatizzare gli “Esercizi di stile” portandoli sulla scena non è un’idea da niente; si rischia di tradurla in una noiosissima operazione di lettura. Ciò che abbiamo visto sul palcoscenico, invece, ha del prodigioso! La regista Emanuela Pistone è riuscita a compiere un vero e proprio miracolo di rappresentazione sotto ogni aspetto. Ne è scaturito uno spettacolo divertente, virtuosistico, strepitoso al di là di ogni possibile immaginazione. Non a caso è risultato finalista al premio “Le Maschere del Teatro Italiano 2024” come “Migliore Spettacolo 2023-24” e vincitore del premio per la categoria “Migliori luci”. Preziosa la costruzione scenica con i costumi bianchi di Riccardo Cappello e le grandi lettere continuamente spostate a formare parole ed elementi scenici su cui sedersi. Divertente ed appropriata l’animazione grafica di Gaetano la Mela, naturalmente insieme alle luci. Poi, sul palco (ma anche in giro per la sala, coinvolgendo in maniera anche ‘tattile’ gli spettatori) i tre magnifici protagonisti, la stessa Pistone e gli altri due attori, Francesco Foti e Agostino Zumbo, facevano mirabilmente il resto. Ed era un rutilante turbinio di frasi dipanate sui più disparati registri vocali, timbrici, linguistici. Vi scorgevi ora una particolare inflessione dialettale, ora l’ammiccamento ad una pluralità di comici, ora un virtuosismo da scioglilingua; tutto all’insegna di una varietà linguistica divertente, sì, ma rivelatrice di un grande professionismo. Un gioiellino di spettacolo, un’ora di sano divertimento che non ha mancato di trascinare il pubblico verso ripetuti applausi.