Preceduto da un interessante incontro per il ciclo ‘Retroscena’ (organizzato dal Teatro della città di Orazio Torrisi) è stata riportata in scena, al Piccolo Teatro della Città, una pregevole rilettura di “Jeli il pastore” tratta dalla raccolta di novelle ‘Vita dei campi’ di Giovanni Verga.
È noto come il rapporto con il teatro dello scrittore catanese non fosse particolarmente idillico. Verga fu eminentemente un novelliere ed un romanziere, la cui scrittura lo pone a maestro assoluto di un nuovo linguaggio e caposaldo del verismo. Non risulta un’impresa facile quella di trasporre per il teatro i suoi lavori; eppure i suoi capolavori hanno spesso ispirato la scena teatrale, a partire da “I Malavoglia” a “Mastro don Gesualdo” per non parlare delle innumerevoli novelle.
Nell’occasione in oggetto è stata la scrittrice Lina Maria Ugolini a realizzare, ma si potrebbe dire ‘creare’, la drammaturgia di una delle più fortunate novelle, “Jeli il pastore”; con la complicità artistica di Gianni Salvo per la regia. La Ugolini ha fatto sua, con grande passione, la vicenda narrata da Verga, aderendo con vera devozione allo spirito dello scrittore catanese ed è andata addirittura oltre, facendo vivere la Sicilia dipinta da Verga, traendone suggestioni ed esplicitando l’humus siciliano con alcuni inserimenti che ne arricchiscono la drammaturgia. L’allestimento acquista così un epos da tragedia greca con l’inserimento di un coro di quattro donne (rappresentanti le stagioni) guidate da una corifea, la gnà Lia, rappresentante la saggezza antica a tutela della Madre terra.
Su una scena stilizzata, dal gusto di antica tragedia greca (scene e costumi di Oriana Sessa) i protagonisti si sono mossi sotto l’accorta guida di Gianni Salvo, il quale ha impresso movimenti e gesti ora epici ora conviviali attraverso i quali si rivelava una natura incombente, quasi un’altra oscura protagonista, facendo immaginare alberi, cavalli, greggi…
La drammaturgia operata dalla Ugolini affidava peraltro alla lingua un ulteriore ruolo nel processo di rappresentazione di una Sicilia ‘viva’ affidando alla gnà Lia intere parti in un dialetto dal gusto arcaico cui Anna Passanisi dava grande pregnanza. Anche la musica originale di Pietro Cavalieri contribuiva ad esaltare sia la sicilianità (vedi la musica di banda durante la fiera di San Giovanni) sia lo spessore tragico nei modi dell’antica Grecia. Durante la stessa festa assistiamo ad una vera e propria ‘licenza’ (ai limiti della liceità) con l’introduzione del personaggio immaginario di Don Pricocu lu puparu (e il dialetto diventa ancora protagonista), con un simpaticissimo Aldo Toscano che racconta la storia di Salomè e della decapitazione del Battista nel caratteristico stile dei pupi siciliani.
Giovanni Arezzo dava corpo ed anima al guardiano di cavalli Jeli, poi pastore, esprimendo una variegata scala di emozioni perfettamente aderenti all’ingenuità istintiva e ‘naturale’ del personaggio. Maria Chiara Pellitteri era un’assai partecipe Mara, la ragazza sempre amata da Jeli ma caduta, nonostante il tardivo matrimonio, tra le braccia prima di Alfio (Vincenzo Ricca) poi di Don Alfonso (Luca Fiorino), il giovane ‘signorino eccellenza’ con il cui omicidio si chiude il dramma. Per Jeli diventa quasi un ‘obbligo’ cui non può sottrarsi: “Come – diceva – non dovevo ucciderlo nemmeno?... Se mi aveva preso la Mara!...”
Determinate l’intervento del ‘coro’, una sorta di personaggio di tragedia, affidato a Giovanna Mangiù, Maria Rita Sgarlato, Lucia Portale e Lorenza Denaro che, al momento della morte del padre di Jeli assumono anche il ruolo di Prefiche.
Uno spettacolo che rientra a pieno titolo nella tradizione immaginifica della storia del ‘Piccolo’ di Gianni Salvo, cui il pubblico ha tributato ampi consensi.