Qualcuno l’ha definita audace qualcun altro un’operazione coraggiosa, resta il fatto che “I sette re di Roma”, lo spettacolo che Enrico Brignano ha portato in giro per i teatri italiani e concluso il ciclo al teatro Metropolitan di Catania, continua a far parlare si sé e a dividere il pubblico tra chi lo reputa di altissimo livello e chi invece si aspettava di più. Il dato di fatto è che all’attore romano va il merito di aver riportato sulla scena, dopo 35 anni, uno spettacolo potente, imponente e impegnativo, una struttura che è una vera e propria prova di forza e di resistenza, che si articola tra i diversi personaggi da interpretare, il timbro di voci continuamente da modificare, i cambi d’abiti, di parrucche, di barbe inframezzate da danze e canzoni, per narrare sul palcoscenico la nascita di Roma, la vita, i costumi, il pensiero e le usanze dei romani ai tempi dei re. Un’operazioni che ha richiesto una notevole dose di follia considerato che l’attore romano ha voluto raccogliere l'eredità del suo maestro Gigi Proietti, anima e mattatore della "leggenda musicale" scritta con rispetto delle fonti storiche da Luigi Magni e musicata da Nicola Piovani.
Chi si aspettava il Brignano comico o il classico one man show è rimasto deluso, sebbene l’attore romano riesca a dare vita, in tre ore di intrattenimento puro, a una narrazione travolgente e avvincente, e nello stesso tempo esplora la storia della capitale attraverso i sette re di Roma in un mix di comicità, aneddoti storici e una riflessione sulle radici e sull’evoluzione della città caput mundi, che da secoli ha ispirato leggende, passioni e miti.
Manco a dirlo il cuore pulsante dello spettacolo è la performance di Brignano: i personaggi cui dà vita sono vividi e la sua capacità di passare ai vari registri senza mai perdere il ritmo fa mantenere alta l‘attenzione del pubblico, raccontando ciascuno dei re attraverso un’interpretazione unica e umanizzata, lontano dal modo didattico e didascalico in cui si rischia di cadere in operazioni di questo tipo.
Romolo, il mitico fondatore di Roma, viene narrato con toni esilaranti ma anche con tratti ricchi di significato, mentre Numa Pompilio, secondo re, è dipinto come una figura saggia e misteriosa, eppure capace di scelte forti, audaci financo provocatorie. Ognuno dei re narrati porta un contributo in termini umani, solleva dubbi e interrogativi sul potere, sul ruolo di chi comanda, sulla cultura e sulla vita nell’antica Roma, creando momenti di sorprendete riflessione e un inatteso legame tra presente e passato. In tutta la narrazione, l’abilità di Brignano di passare dal monologo al tono più solenne dimostra la sua versatilità come narratore e performer, e lo rende uno dei comici più completi del panorama teatrale italiano.
L'adattamento del testo è curato da Manuela D'Angelo. Oltre ai sette re ci sono anche il Dio Tiberino, il Fauno Luperco e Bruto, il padre degli Orazi. Sulla scena, insieme con Brignano anche Simone Mori, nei panni del narratore Giano, ma anche Andrea Pirolli, Andrea Perrozzi e Pasquale Bertucci, che sono i senatori e figli di vari re; Giovanna D'Angi è Orazia ma anche una delle Parche; nel ruolo di Ersilia e di un’altra delle Parche è Ludovica Di Donato; la Ninfa Egeria è Emanuela Rei, mentre Elisabetta Tulli è Tanaquila, la moglie di Tarquinio Prisco, ma è anche la terza delle Parche; Ilaria Nestovito è Lucrezia oltre a Michele Marra, Lallo Circosta e i danzatori Andrea Baldini, Luigi D'Aiello, Michela Delle Chiaie, Ilaria Leone, Lorissa Mullishi, Raffaele Rudilosso, Marco Stella e Camilla Tappi.
I costumi portano la firma di Paolo Marcati, le scene sono di Marco Calzavara, il disegno luci è di Marco Lucarelli e le coreografie di Thomas Signorelli; Pierluigi Iorio è il regista assistente.