Quando una commedia dal carattere lieve che induce al sorriso improvvisamente ‘vira’ verso un enorme problema sociale e, affrontandolo sempre con grande leggerezza, ti fa riflettere sulla caducità della vita lasciandoti un magone dentro. E’ quanto ci è parso di cogliere da “Que serà”, scritto dalla drammaturga milanese Roberta Skerl (dapprima con il titolo “Malagueña” ) e portato in scena dal poliedrico Paolo Triestino, qui nella duplice veste di regista ed attore, al teatro Brancati per la stagione del Teatro della Città.
L’elogio dell’amicizia, in primo luogo. È una delle solite cene, d’estate, tra i profumi di un giardino e lo scorrere delle acque di una fontanella ornamentale; tra risate e pensieri, tre inseparabili amici fin dai tempi della scuola, si scambiano le solite confidenze; sono Filippo, medico tranquillo e ordinatissimo, Giovanni, commercialista e fiscalista di successo e Ninni ‘la Roscia’, separata e titolare di un negozio di intimo. Improvvisamente tutto cambia perché qualcosa di molto imprevisto accade. Una notizia tanto inattesa quanto traumatica li travolge e mette a dura prova il loro rapporto: Filippo rivela di essere malato terminale di cancro ed ha una richiesta ‘scomoda’ da fare ai suoi amici; ha deciso di uccidersi prima che il male divenga insostenibile e vuole che proprio i suoi amici del cuore gli siano vicini negli ultimi momenti di vita.
Proprio quando la commedia potrebbe rischiare di cadere nella retorica, intorno al delicatissimo tema sociale dell’eutanasia, il testo si fa sempre più trasparente, ironico e misurato e, grazie alla maestria dei tre magnifici attori, scorre facendoti riflettere e commuovere, sì, ma anche apprezzare nei toni che esaltano un sentimento come la vera amicizia che sempre più difficilmente nell’imbarbarito mondo d’oggi si può riscontrare.
Filippo ha pianificato tutto, compreso il matrimonio con Ninni (in fondo i due si amano da sempre), anche per togliere dalla successione ereditaria gli odiati cugini, unici parenti che gli restano. Paolo Triestino rivela ancora una volta (sono tanti i lavori che il Brancati in passato ci ha proposto, da ‘Ben Hur’ a ‘Muratori’ a ‘Grisù, Giuseppe e Maria’) attore dalle spiccate doti di umanità e partecipazione, non inficiate dall’improvviso incidente che lo ha costretto a recitare con un braccio ingessato. La sua delicata regia coinvolge i due compagni sul palco, un Emanuele Barresi dal simpaticissimo accento toscano soventemente amplificato da bonari accessi d’ira ed una vulcanica Edy Angelillo che passa con consumata disinvoltura dalla rabbia al pianto, dalla malinconia alla passione, con una invidiabile energia.
Essenziali e di buon gusto le scene di Francesco Montanaro ed i costumi di Lucrezia Farinella con le luci di Alessandro Nigro, per la produzione Diaghilev.
Lo spettacolo avrebbe meritato una cornice di pubblico più ampia ma, tant’è, e gli assenti hanno sempre torto.