É una commedia ancora attuale (dopo ottant’anni) o una malinconica farsa evocante l’avanspettacolo? È ciò che viene da chiedersi nell’assistere allo spettacolo andato in scena al Verga per la stagione 2022/23 del teatro Stabile di Catania. “A che servono questi quattrini” di Armando Curcio, commediografo, giornalista ed editore (capostipite dell’omonima casa editrice), è stata rappresentata per la prima volta nel 1940 dalla compagnia dei De Filippo (Eduardo e Peppino) con cui Curcio collaborò.
Sull’onda del successo della prima rappresentazione, il regista Esodo Pastelli realizzò due anni dopo una versione cinematografica con Eduardo e Peppino sempre protagonisti; la loro interpretazione risulta, quindi, quasi imprescindibile ma nell’impostazione registica di Andrea Renzi la commedia vira verso i modi della farsa di cui è riferimento la figura del protagonista, il Marchese Parascandolo detto il “Professore”, interpretato da Nello Mascia; una figura che assume quasi il carattere di una “Maschera”, a metà strada fra il modello di Eduardo e quello di Totò, ma con il carattere assolutamente personale che Mascia riesce ad esprimere: Il Professore è un personaggio che evoca la figura del filosofo stoico (le sue citazioni predilette sono riferibili a Socrate, Diogene, Platone…) ma si rivela ben presto essere anche un accorto truffatore. La filosofia che cerca di inculcare nei suoi giovani allievi è quella del dolce far niente, dell’esaltazione dell’ozio; la sua espressione più sintomatica ed esemplare è che i quattrini non servono a niente, anzi l’ossessione del denaro è una vera e propria patologia che va combattuta. Il suo capolavoro lo compie nel dimostrare, durante lo svolgersi degli eventi, che non occorre avere denaro ma far credere di averlo. Asseconda così l’ingenuità dell’allievo-seguace Vincenzino, un povero falegname che vive con la zia, interpretato da un credibilissimo Valerio Santoro (mentre i panni della zia sono vestiti da un esilarante Salvatore Caruso ‘en travestì’) facendo credere a tutti che abbia ricevuto una sostanziosa eredità. Su questo equivoco viene intessuta una macchinosa quanto paradossale serie di scambi di denaro, cambiali, garanzie che finiranno col soddisfare tutti pur senza spostare una lira.
Sotto l’abile guida del regista Andrea Ranzi e per il tramite della caratterizzazione di Mascia, tutti gli attori contribuiscono alla divertente riuscita dell’arzigogolata beffa, Loredana Giordano che è Rachelina, la bella innamorata di Vincenzino (convinta dall’improvvisa fortuna capitata al giovane); Ivano Schiavi è il fratello di Rachelina, Ferdinando De Rosa, pronto a cambiare la sua avversione al matrimonio fra i due giovani (naturalmente solo quando apprende dell’eredità); Fabrizio la Marca è Michele, il fidato allievo del Professore e suo ‘complice’ nell’ordire l’inganno. Spartana ma funzionale la scena ideata da Luigi Ferrigno; in pratica un alto muro grigio che funziona anche per gestire le uscite e i rapidi cambi d’abito (gli sfarzosi costumi di Ortensia De Francesco, in odore d’avanspettacolo); infine le luci di Antonio Molinaro; il tutto per la produzione Compagnia La Pirandelliana, Teatro di Napoli-Teatro Nazionale.
Uno spettacolo divertente ma, per carità, non cerchiamo corrispondenze con l’attuale mondo della finanza, limitiamoci anzi a lasciarci avvolgere da uno spensierato spettacolo d’antan.