È sempre più vivo il celebre allestimento della cosiddetta ‘Traviata degli specchi’ ideata nel lontano 1992 dallo scenografo Josef Svoboda con il regista Henning Brockhaus (che dopo la morte dello scenografo ha continuato a portarla in scena in tutto il mondo). Nata per gli spazi all’aperto dello Sferisferio di Macerata è stata poi riproposta anche nei teatri al chiuso, con i naturali adattamenti di minor misura, per giungere finalmente anche a Catania a chiusura della stagione lirica 2023.
La geniale idea di Svoboda fu quella di collocare una grande rete di pannelli a specchio posti a 45 gradi che permetteva di replicare la scena sul fondale e, con colpo di scena finale, raddrizzandosi, faceva ‘entrare’ la sala con gli spettatori, quasi a renderli attori e partecipi della vicenda. Ancora oggi, nonostante le molteplici repliche, è rimasto immutato l’effetto-suggestione rendendo decisamente ‘storico’ l’allestimento e tuttora incredibilmente attuale. Anche gli sfarzosi costumi di Giancarlo Colis, il sapiente uso delle luci (dello stesso Brockhaus) e le movimentate coreografie di Valentina Escobar contribuiscono a creare una immaginifica visione che colpisce il cuore e la mente. Un allestimento simile rischia di polarizzare l’attenzione degli spettatori ponendo quasi in secondo piano la componente musicale. A far emergere però tutti i valori della partitura verdiana ha provveduto, innanzitutto, la direzione e concertazione di José Cura, il quale ha ricavato dalla concentratissima orchestra (come pure dal brillante coro, istruito di suo da Luigi Petrozziello, e dai solisti) una varietà di suoni, timbri e ritmi che rendevano onore a Verdi. Si percepiva una precisa volontà di ‘ripulire’ la musica del maestro di Busseto da tutte le incrostature che nel tempo hanno sedimentato usi e abusi. Tempi snelli che impedivano eccessi vocalistici, ma pronti ad indugiare all’occorrenza; esemplare, ad esempio, l’inizio del terzo atto con il drammatico trepidare degli archi fino alla dolente aria di Violetta ‘Addio del passato’, eseguita in entrambe le strofe. Corretta ed attenta, d’altra parte, l’apertura di tutti i tagli che, in passato, facevano scempio dell’opera.
Tra i solisti era sicuramente attesa l’esibizione di Daniela Schillaci, giovane concittadina ormai lanciatissima nell’agone internazionale, che dopo un primo atto leggermente contenuto è cresciuta sempre più fino a creare un personaggio assai consapevole della trasformazione psicologica di donna ‘redenta’ dalla potenza del suo amore per Alfredo ma dolentemente costretta al sacrificio, fino alla prematura morte provocata dal suo dissoluto passato. Voce eminentemente lirica piegata a preziose raffinatezze (mezzevoci, filature…) ben votata, parimenti, al drammatico, grazie alla corposità e ricchezza degli armonici, ha superato brillantemente le insidie delle ‘tre voci’sopranili nascoste tra le spire del variegato personaggio verdiano. Peccato che accanto a lei non ci fosse un Alfredo di pari statura; il tenore Giorgio Misseri, infatti, risultava fin troppo esile e fragile e in evidente difficoltà non solo alla prova dell’acuto ma anche quando la temperie espressiva richiedeva maggior spessore e convinzione. Un sontuoso Giorgio Germont era il baritono Franco Vassallo, dal fraseggio nobile e decisamente ‘verdiano’, svettante anche nei concertati.
Tra i tanti comprimari che arricchiscono il cast della Traviata emergevano la Flora di Elena Belfiore e l’Annina di Sonia Fortunato mentre completavano il variegato novero Massimiliano Chiarolla, Gianluca Lentini, Dario Giorgelè Gaetano Triscari, Francesco Napoleoni, Alessandro Martinello e Daniele Bartolini. Naturalmente ci riferiamo agli interpreti della ‘prima’ cui abbiamo assistito mentre è previsto anche un diverso cast nelle parti principali che subentrerà in diverse repliche (non meglio specificate).
Lo spettacolo ha incontrato il favore del vasto pubblico che, una volta tanto, si è trovato ad applaudire un allestimento collaudato, sempre verde e senza implicazioni di astruserie varie, oggi sempre più ricorrenti. E poi, con un’opera del grande repertorio come La traviata, si va sul sicuro anche se non guasterebbe ampliare le proprie vedute. Il mondo e la storia del melodramma contano centinaia e centinaia di titoli e molti meriterebbero di essere maggiormente conosciuti.