La cosa che sorprende di Pasquale Almirante è il modo in cui fa convivere racconto e piacere della lettura. Ogni suo libro è un mondo a sé e porta venature di magia. Non fa eccezione l’ultima fatica letteraria, che sarebbe troppo facile e riduttivo definire semplicemente raccolta di racconti. Certo, di fatto lo sono. Ma sono anche qualcosa di più, veri e propri cammei che fanno parte della tradizione orale siciliana e hanno sempre un messaggio da consegnare al lettore. Una piccola lente di ingrandimento che zooma un particolare e punta all’essenziale, ma sono anche un vero e proprio affresco sociale senza sconti, sul fronte del quale si muove un ampio campionario di soggetti il cui rilievo cambia con l’alternarsi dei punti di vista.
Il luogo è San Cono, piccolo centro in provincia di Catania, posto del cuore dell’autore e cornice all’interno della quale sono ambientati e articolati “I racconti della piazza grande” (Algra editore), quasi un sequel che completa un percorso iniziato qualche tempo fa con “I racconti del Barbiere”.
Il titolo è evocativo, facile l’associazione con la Piazza grande dell’indimenticabile Lucio Dalla, ma i ventisette racconti di Almirante sono piccoli dipinti che riportano alla realtà i primi Sessant’anni del secolo scorso, un periodo storico di grandi tensioni internazionale e speranze di cambiamenti, alimentate da passioni vissute fino alle estreme conseguenze anche in Sicilia.
Ne “I racconti della piazza grande”, Pasquale Almirante, attraverso i suoi personaggi viviseziona l’essere umano e ne narra gli aspetti più intimi e reconditi. Ogni individuo sente il bisogno di realizzare una finalità, e questa è una legge universale della vita che ha ispirato e spinto tanti autori, artisti, poeti e narratori a raccontare i tormenti esistenziali nell’arte come nella musica, nella poesia come nella narrativa. Non si è sottratto a questo richiamo l’Autore, che ha scelto il racconto, uno scrigno che si apre e si chiude subito, per raccontare un po’ di sé, per fare assaggiare al lettore un po’ della sua vita e della sua esperienza umana.
A leggere queste storie sembra di stare sulle montagne russe, si passa dal coraggio della Giumenta, la prima donna bandita che si aggrega alla banda di Vincenzo Lemuro e combatte come un uomo, al desiderio di vendetta che arma la mano di Ciccina Saponara, donna offesa, vilipesa e sporcata nella sua dignità di essere umano. Ma ci si imbatte anche in uomini intelligenti come Celestino Ingala; sovrastanti senza scrupoli come Santo Mangiagrassa; gente semplice, personaggi dabbene, contadini sfruttati e raggirati, giovinetti il cui obiettivo rimane quello di intercettare gli sguardi delle ragazze che escono dalla messa la domenica mattina; donne bellissime che diventano il sogno proibito di maschi imbrigliati in una società dalle regole invisibili, ma ferree: chi prova a trasgredirle paga con la vita, così come sono presenti una serie di personaggi minori che ruotano intorno a ben noti temi della realtà contadina del tempo.
Un vero e proprio universo “verista” dove si narra di una realtà immutabile e immanente, un gesto dal sapore antico che non vale per il passato, e neppure per il futuro. Vale per il presente.